Neuropatia delle piccole fibre (NPF) nella condizione post-COVID e nell’Encefalomielite Mialgica/Sindrome da Fatica Cronica (ME/CFS): significato clinico e sfide diagnostiche - studio 2025
- Nicole
- 25 ago
- Tempo di lettura: 5 min
Fonte studio: Eur J Neurol. 2025;32:e70016. https://doi.org/10.1111/ene.70016
Questo studio ha confrontato:
30 pazienti con post-COVID,
30 con ME/CFS e
30 controlli sani,
valutando i segni di neuropatia delle piccole fibre.
I pazienti post-COVID e ME/CFS presentano sintomi clinici quasi identici: fatica estrema, disautonomia e dolore neuropatico.
I test hanno mostrato alterazioni sensoriali (ridotta percezione del calore) e maggiore tortuosità delle piccole fibre corneali, indicatore precoce di NPF.
Nei ME/CFS il 30% aveva anche POTS.
La NPF in questi pazienti non segue il modello classico (lunghezza-dipendente), ma appare a distribuzione “patchy”, suggerendo un’origine infiammatoria/autoimmune più che degenerativa.
Le nostre considerazioni:
Questo studio conferma che pazienti con post-COVID e con ME/CFS presentano sintomi e alterazioni compatibili con neuropatia delle piccole fibre (NPF) e disautonomia.Tuttavia, ci sono importanti limiti da sottolineare:
Mancanza della biopsia cutanea – Nonostante la biopsia sia il gold standard diagnostico per la NPF, non è stata eseguita. Se lo fosse stata, molto probabilmente avrebbe evidenziato una percentuale elevata di pazienti con NPF, come mostrano altri studi.
Sottostima della POTS nel post-COVID – Nel campione analizzato non è stato rilevato nessun caso di POTS nei post-COVID, a differenza dei ME/CFS (30%). Questo dato è in contrasto con la letteratura scientifica, che stima la POTS nel 30–75% dei pazienti post-COVID. È quindi probabile che si tratti di una sottostima dovuta al numero ridotto di pazienti e ai criteri selettivi dello studio.
Metodiche alternative – Sono stati usati strumenti come Sudoscan, QST, microscopia corneale (IVCCM). Utili, ma non sostituiscono una valutazione completa con biopsia cutanea e test autonomici più sensibili.
Cosa significa per i pazienti
Questo studio, con tutti i suoi limiti, è comunque un’ulteriore conferma scientifica di ciò che tanti pazienti e clinici osservano da anni:
La sindrome da fatica cronica (ME/CFS) non è un’entità “misteriosa” o “eterea”, ma ha spesso una base organica e tangibile, legata a:
neuropatia delle piccole fibre (NPF), con conseguente disfunzione del sistema nervoso autonomo (disautonomia),
in alcuni casi, meccanismi autoimmuni/infiammatori.
Il fatto che ME/CFS e post-COVID mostrino alterazioni simili rafforza l’idea che si tratti di condizioni con un substrato biologico comune.
La reale prevalenza della NPF in questi pazienti è sicuramente più alta di quella riportata. È fondamentale che vengano impiegati strumenti diagnostici completi (biopsia, tilt test, ecc.) per non lasciare invisibili queste condizioni.
Lo studio:
Introduzione
La condizione post-COVID (PCC) e la sindrome da encefalomielite mialgica/fatica cronica (ME/CFS) sono entrambe caratterizzate da sintomi debilitanti come affaticamento grave, deficit cognitivi, dolori muscolari e articolari, sonno non ristoratore, cefalea e tachicardia. Molti pazienti mostrano inoltre disturbi autonomici e neuropatici, come intolleranza ortostatica, parestesie e dolori agli arti, che suggeriscono un coinvolgimento del sistema nervoso periferico. Poiché circa il 70–90% del sistema nervoso periferico è costituito da fibre poco o per nulla mielinizzate (Aδ e C), la loro disfunzione o danno può tradursi in una neuropatia delle piccole fibre (NPF). Questa neuropatia può manifestarsi in forma sensitiva, autonoma o mista, con sintomi che vanno dalle bruciature e formicolii al dolore, fino a disturbi viscerali e cardiovascolari.
Per studiare questo legame, gli autori hanno analizzato la presenza di NPF in pazienti con PCC e ME/CFS, comparandoli con controlli sani, utilizzando un approccio multimodale che includeva test funzionali e di imaging delle piccole fibre.
Metodi
Sono stati arruolati 90 partecipanti: 30 con PCC, 30 con ME/CFS e 30 controlli sani, tutti appaiati per età e sesso. Nei pazienti ME/CFS la diagnosi seguiva i criteri di Fukuda, mentre per i post-COVID si adottavano le linee guida NICE, includendo solo sintomi persistenti oltre 12 settimane dall’infezione.
Ogni partecipante è stato sottoposto a un’ampia batteria di test. La funzione sudomotoria è stata valutata con il Sudoscan, che misura la conduttanza elettrochimica cutanea. La sensibilità termica è stata indagata con test quantitativi (QST) e con potenziali evocati da stimoli di caldo e freddo (CHEPs e CEPs). Inoltre, la microscopia confocale corneale in vivo (IVCCM) ha permesso di analizzare la morfologia delle fibre nervose corneali, con particolare attenzione a densità, lunghezza e tortuosità. Il sistema nervoso autonomo è stato esaminato attraverso la pupillometria e tramite test emodinamici, inclusi respirazione profonda, manovra di Valsalva e tilt test. Infine, i pazienti hanno compilato questionari validati per sintomi autonomici, neuropatici e per la fatica.
Risultati
Sia i pazienti con PCC che quelli con ME/CFS hanno riportato livelli molto più elevati di sintomi autonomici e neuropatici, così come di fatica, rispetto ai controlli sani. Non vi erano differenze significative tra i due gruppi di pazienti, confermando una sostanziale sovrapposizione clinica.
Dal punto di vista sensoriale, i pazienti post-COVID hanno mostrato soglie peggiori nella rilevazione del calore, mentre quelli con ME/CFS presentavano risposte ridotte nei potenziali evocati da stimoli termici.
Le immagini ottenute con IVCCM non hanno evidenziato riduzioni nette nella densità o nella lunghezza delle fibre nervose corneali rispetto ai controlli. Tuttavia, è emersa una differenza significativa nella tortuosità delle fibre, che risultava aumentata sia nei PCC sia nei ME/CFS. Questo parametro si è rivelato il più sensibile per distinguere i pazienti dai controlli sani.
Per quanto riguarda la funzione autonomica, la pupillometria e gli altri test non hanno mostrato differenze sostanziali tra i gruppi. L’unica eccezione è stata il tilt test, che ha evidenziato criteri compatibili con la sindrome da tachicardia posturale ortostatica (POTS) in circa il 30% dei pazienti con ME/CFS, mentre nessun caso è stato rilevato tra i post-COVID e i controlli.
Le analisi di correlazione hanno mostrato che nei pazienti post-COVID un numero maggiore di sintomi neuropatici si associava a maggiore fatica e a più sintomi autonomici. Nei ME/CFS, invece, sintomi neuropatici più intensi erano correlati a maggiori disturbi autonomici, livelli più elevati di fatica e durata più lunga della malattia.
Discussione
Lo studio suggerisce che nei pazienti con PCC e ME/CFS esistono segni di neuropatia delle piccole fibre, seppure non nei termini classici della forma “lunghezza-dipendente” tipica del diabete. In queste condizioni, la neuropatia sembra avere una distribuzione più “patchy”, cioè a chiazze e non uniforme, probabilmente legata a processi infiammatori o immuno-mediati piuttosto che degenerativi.
L’assenza di differenze chiare nei parametri convenzionali di densità e lunghezza delle fibre non esclude la presenza di NPF, poiché la tortuosità delle fibre si è dimostrata un indicatore più precoce e sensibile. Questo dato rafforza la necessità di un approccio multimodale, che includa IVCCM, QST, CHEPs, Sudoscan e soprattutto la biopsia cutanea, ancora considerata il riferimento diagnostico principale.
Un aspetto importante emerso è la forte somiglianza tra PCC e ME/CFS: entrambi i gruppi mostrano lo stesso profilo clinico, con livelli elevati di fatica, sintomi neuropatici e autonomici, e con segni obiettivi di disfunzione delle piccole fibre. Ciò suggerisce una possibile base biologica comune tra le due sindromi.
Conclusioni
Lo studio conclude che i pazienti con PCC e ME/CFS presentano una neuropatia delle piccole fibre sensitiva, documentata da alterazioni nella percezione del calore e da una maggiore tortuosità delle fibre corneali. La semplice valutazione della densità delle fibre non è sufficiente a individuare questi quadri, che richiedono invece un approccio diagnostico complesso e multimodale.
Questi risultati sostengono l’idea che sia la condizione post-COVID sia la sindrome da fatica cronica abbiano una componente organica ben precisa, radicata nella disfunzione delle piccole fibre e del sistema nervoso autonomo, e non possano essere ridotte a disturbi “misteriosi” o psicologici.
AINPF